in “Nuova Mutina” 4 marzo 1983
La mostra postuma di Walter Morselli (sessantaquattro tra oli, tempere, acqueforti e acquerelli), allestita con cura affettuosa e devota al centro Studi “L. A. Muratori”, ha riproposto ad amici ed estimatori l’opera trentennale di un artista modenese che non si finisce di rimpiangere, e -con l’opera- la figura e e la persona stessa di Morselli, tanto la sua pittura era strettamente legata alla sua esistenza, che condizionava e illuminava nello stesso tempo, gioia e tormento, come sono le passioni esclusive e dominanti.
L’arte di Morselli era dedizione alla natura e alla vita, fedeltà al reale, secondo l’esempio e l’insegnamento di illustri maestri della tradizione modenese e principalmente di Ubaldo Magnavacca si veda l’opera emblematica “In studio col maestro Magnavacca” del 1965, con cui aveva in comune -sebbene su toni meno sfarzosi e smaglianti, più sobri e intimistici- l’amore per gli scenari solenni e severi della campagna, e soprattutto della campagna “delle opere e dei giorni” con le figure, ritrovano esiodee e virgiliane dei contadini e degli animali da lavoro, visioni di panteistica serenità, capaci di donare, in aggiunta alla gratificazione estetica, un attimo almeno di pace interiore, una breve pausa nel perpetuo ciclone dell’esistenza,
Ma la coerente e appassionata disciplina di Morselli nello studio e nel vagheggiamento della natura, lo aveva portato anche al di là di questi traguardi, verso un’indagine della figura umana che aveva caratteri di analisi clinica e insieme di sofferta partecipazione umana.
E’ una linea che raggiunge il punto culminante nel ritratto di “Nicola” (1952) barbone pavullese; un’opera che appare, a distanza di tempo, come un lampo rivelatore, un’illuminazione folgorante, e in cui quanti -come lo scrivente- hanno conosciuto sia Morselli che Nicola, ritrovano una delle rare occasioni d’incontro predestinato della vita e dell’arte.